Esce finalmente in edizione italiana per le Edizioni Artebambini il bellissimo albo illustrato di Allen Say, L’uomo del kamishibai (Kamishibay man, 2005), ormai un classico della letteratura per ragazzi, ma soprattutto la prima storia illustrata incentrata sulla figura del kamishibaya, come venivano chiamati i performer di questa tradizionale forma di narrazione per immagini, fiorita nel Giappone degli anni Venti e oggi ripresa in tutto il mondo soprattutto in ambito didattico.
È la storia di un anziano cantastorie, che decide, dopo molti anni di inattività, di riprendere per un giorno la sua vecchia professione e parte con la sua bicicletta verso la città che un tempo ospitava i suoi spettacoli di strada. La trova profondamente mutata, e fatica persino a orientarsi nel traffico cittadino e, quando trova finalmente uno spazio dove fermare la sua bicicletta e aprire il suo butai (il teatro di legno che ospita le tavole delle storie kamishibai), in attesa di un pubblico desiderosa di ascoltare le vecchie storie di un tempo.
La memoria lo riporta agli anni della giovinezza, e inizia a rievocare, come in una visione, i momenti felici del suo passato di uomo del kamishibai, con i bambini che correvano allegri ad ascoltare le sue storie e a mangiare i suoi dolcetti, e quelli tristi in cui ebbe coscienza dell’inevitabile declino della sua arte, soppiantata dalla modernità degli apparecchi televisivi. Ma la vicenda avrà un’epilogo imprevisto, che non vogliamo svelare. Vi lasciamo con le parole dell’autore, che introducono la storia e ne anticipano la poesia.
“Quando penso alla mia infanzia in Giappone, penso al kamishibai. Significa ‘teatro di carta’.
Ogni pomeriggio l’uomo del kamishibai arrivava su una bicicletta che aveva una grande scatola di legno montata sul retro. La scatola aveva cassetti pieni di dolci e un teatro sulla parte alta. Compravamo i dolcetti e ascoltavamo le storie di quell’uomo.
Mentre raccontava le storie, l’uomo del kamishibai faceva scivolare fuori una alla volta le tavole illustrate che erano dentro il teatro e le rinfilava dietro, come se stesse mescolando un mazzo di carte.
Le storie erano in realtà un racconto senza ne, con ogni puntata che niva con l’eroe o l’eroina appesi a una scogliera o spinti giù da essa.
“Non finisce qui”, diceva l’uomo del kamishibai con un gran sorriso, e i bambini si lamentavano, ma non troppo. Il giorno dopo l’eroe e l’eroina sarebbero stati salvi per vivere nuove avventure, e noi avremmo avuto le nostre caramelle.
Sì, si trattava di cliffhanger, finali in sospeso. Così quando arrivai in America, quella era un’espressione che nessuno dovette spiegarmi. Oggi, qualsiasi tipo di finale in sospeso mi rammenta i bei ricordi che il kamishibai mi ha dato. E con questo libro, sebbene non abbia alte scogliere, lasciatemi essere il vostro ‘uomo del teatro di carta’ per un giorno. I dolcetti dovrete procurarveli.”