FUNZIONI PEDAGOGICHE DEL KAMISHIBAI

Le potenzialità educative e didattiche del kamishibai furono immediatamente chiare fin dalla sua diffusione popolare dalla metà degli anni Venti. Fu in particolare un missionario cristiano, Imai Yone, a comprendere come attraverso l’uso di una didattica illustrata e spettacolarizzata sul modello del kamishibai, l’attenzione degli studenti cresceva enormemente. Si servì quindi di veri e propri kamishibaya per trasporre le vicende bibliche in storie per kamishibai, apportando numerose innovazioni anche al formato stesso delle storie. Proprio seguendo uno spettacolo kamishibai messo in scena da uno dei missionari allievi di Ione, uno studente del Dipartimento di Educazione dell’Università di Tokyo, Matsunaga Kenya, riconobbe i potenziali utilizzi del kamishibai nel contesto didattico della lezione in aula. Fu il primo a promuovere quello che oggi è chiamato kamishibai tezukuri (fatto a mano), ovvero storie realizzate dagli studenti al fine di ottenere quello che Matsugata chiamava “educazione della vita globale”.

Il metodo kamishibai, rispetto al libro, scompone i canali comunicativi del testo e dell’illustrazione/immagine rendendoli però complementari grazie all’intervento del performer che racconta e spettacolarizza tramite i suoi gesti e la sua voce diventando egli stesso parte integrante e fondamentale della narrazione.

Oltre che come medium di teatralizzazione del racconto che catalizza in maniera ottimale l’attenzione del pubblico, la tecnica del kamishibai, per la forte peculiarità narrativa, si presta molto come strumento per la creazione di storie a scuola come in un qualsiasi altro setting educativo.

Ancora oggi il kamishibai è utilizzato nelle scuole giapponesi, all’interno di specifici percorsi didattici. Questi prevedono da parte dei bambini l’invenzione di storie e la successiva illustrazione della sequenza degli avvenimenti in esse contenuti: sarà poi il kamishibaya che metterà in scena quelle storie per i piccoli autori e i loro insegnanti come vero e proprio spettacolo, completando così il percorso didattico che comprende anche la fondamentale fase dell’“ascolto“.